In questi giorni di inizio settembre caratterizzati da un cielo novembrino e una temperatura equatoriale mi sono trovata a rileggere un vecchio post e le reazioni suscitate in chi aveva deciso di commentare – non potendo ovviamente conoscere quelle di chi ha deciso di non farlo. Oppure non ha deciso di farlo, il che è un po’ diverso – ma se continuo lungo questa strada non solo non arrivo al punto, ma non finisco neppure l’introduzione, tutto sommato meno pretestuosa del solito.
Il fatto è che ieri ne ho parlato un po’ con Scassaritratti a cena, dopo essere andata con lei e il futuro marito a comprare le fedi nuziali che regaleremo loro io e ML, l’altro testimone della sposa.
Non ho mai fatto da testimone, prima d’ora; e a dirla tutta lei è la prima, tra le mie amiche, ad aver deciso di sposarsi – dopo un periodo di convivenza, sia chiaro: altrimenti non so se avrei accettato di farle da testimone 😉 Ieri ero un po’ emozionata, in quella minuscola gioielleria fredda come l’interno di un igloo, mentre lei e il futuro marito provavano anelli su anelli sotto gli occhi miei e di ML – scapolone incallito per il dispiacere di innumerevoli e persistenti ammiratrici.
Ed ero ancora più emozionata quando, dopo cena, avevo sotto gli occhi una persona che conosco da più di dieci anni e la vedevo splendere, letteralmente splendere per un appagamento che non era “l’attesa della felicità che è essa stessa felicità” [cit.], era proprio hic et nunc senza possibilità d’appello.
Oggi, pertanto, sono velatamente triste per me stessa, per il fatto che io “quella roba lì” non ce l’ho. Punto. La vorrei e non ce l’ho. E in parte dipende da me, sicuramente; ma non essendo io onnipotente posso ancora dare un po’ di colpa al destino avverso ed evitare di sprofondare nella disperazione. Galleggio su un mare di velata tristezza, pertanto, cercando di farmi un po’ di esami di coscienza.
Quel post sui pro e contro dell’astinenza sessuale era una risposta al fatto che, in quel periodo, non appena dicevo a qualcuno che sarei dovuta / avrei potuto stare per (cfr.) partire per venti giorni nel nord del Brasile, costui o costei cominciava a tirarmi grandi pacche sulle spalle spesso non soltanto figurate e a farmi occhiolini d’intesa: “eh, chissà come ti divertirai, senza un fidanzato e con tutti quei brasiliani belli e disponibili” e ogni variazione sul tema.
Lo so che può sembrare assurdo, ma così come l’anno scorso tre settimane a Cuba nelle medesime condizioni non mi avevano spinto a voler imbastire nessun tipo di relazione sessuale occasionale, all’epoca ero sicura che la discesa nell’emisfero australe non avrebbe portato cambiamenti nel mio atteggiamento.
E anche la salita verso Zurigo, a parte tutto quello che si è trascinata dietro e soprattutto dentro, mi ha regalato – è vero – un incontro con un ragazzo gentile e galante che mi ha offerto non soltanto il caffè ma anche uno squisito biscotto al cioccolato (10% cacao, 90% burro: una delizia). Però… insomma, siamo onesti. Forse avrei potuto spingere le cose un più in là – scambiarsi gli indirizzi email, ad esempio, non sarebbe stata una cattiva idea. Forse avrei dovuto spingere le cose un po’ più in là, non saprei: e il non averlo fatto, il non essere stata una volta tanto respingente ma neppure attraente, almeno in senso “meccanico”, è possibile sia soltanto un altro sintomo delle mie innumerevoli resistenze a non si sa bene cosa (anche se in fondo lo so benissimo). Ma tanto Zurigo se ne sta lì buona buona – e con la città anche quel suo particolare abitante, almeno secondo gli amici comuni.
E comunque, siamo sinceri: io sono convinta del fatto che non soltanto, contrariamente a quanto cantava il buon vecchio Venditti, “c’è sesso senza amore”, ma che addirittura c’è amore senza sesso e le due cose possono essere totalmente disgiunte. O anche, come mi è successo in passato, convivere in uno stesso soggetto ma concretizzarsi con due persone diverse nel medesimo lasso temporale (non spaziale, almeno nel mio caso; nonostante esistano di questo svariati esempi letterari anche di un certo pregio). Ossia, giusto per non dare adito a fraintendimenti: è possibile, nello stesso periodo della vita, amare o comunque provare un profondissimo affetto per qualcuno dal quale non si è attratti fisicamente manco fosse un palo della luce arrugginito e, al contempo, essere invece attratti fisicamente da un altro essere umano per il quale si prova meno affetto che per il ragno che da due settimane popola l’angolo tra la finestra e l’armadio. Può succedere.
Come ho scritto non ricordo quando (forse sempre nel famigerato post, che però non ho più voglia di rileggere), il sesso è, tra tutte le n cose, anche una forma di comunicazione tra due individui; così come è possibile comunicare verbalmente con una persona ed essere emotivamente coinvolti pur senza essere innamorati (questi individui si chiamano amici, di solito), così è possibile fare sesso, fare del buon sesso con qualcuno ed essere appagati non provando niente di lontanamente simile all’affetto.
Il fatto è che non è quello a interessarmi, ora. Perché amici ne ho tanti e sono persone straordinarie che hanno avuto modo, in un momento brutto come questo, di dimostrarmelo nei modi più svariati. E comunque. Non è quello, non è fare del buon sesso ciò che voglio. Voglio quello stato di necessità per cui la passione sessuale non è disgiunta da tutto il resto.
In queste settimane in cui sono stata, per la prima volta della mia vita, a contatto ravvicinato con la paura della malattia e dalla morte, me ne sono accorta con una vividezza sbalorditiva e a tratti inquietante: io voglio tutto, amore e sesso e amore e sesso e anche qualsiasi altra cosa che sfugga da questo binomio e che al momento mi sono dimenticata; e lo voglio tutto insieme, nello stesso tempo, nello stesso luogo e nella stessa persona. E perché mai dovrei vergognarmi di urlarlo con tutta la voce che ho?
Chi altro ha qualcosa da scrivere